Emigrazione dei giorni nostri

Storyline

Qualcuno di noi è emigrato in Germania attirato dalla favola di un paese “paradiso dei lavoratori”, la chiamavano (e la chiamano ancora) “locomotiva d’Europa”. Qualcuno è arrivato in Germania attratto dalla metropoli più culturalmente stimolante d’Europa, qualcun altro dentro un percorso di alta formazione (dottorato o ricerca), qualcuno semplicemente per imparare la lingua tedesca.

Il sistema del welfare tedesco post unificazione si basava sul già sperimentato (per esempio negli stati scandinavi) sistema che in tedesco si chiamava “Versicherungsleistung“. Un sistema cioè di sicurezza sociale in cui una parte della fiscalità generale veniva reindirizzata in un processo di redistribuzione di ricchezza o se non altro di riduzione delle diseguaglianze sociali. Non esistevano assicurazioni sanitarie private e il reddito minimo veniva garantito a chiunque non lavorasse. Ovviamente la Germania post-unificazione viveva di due mercati del lavoro paralleli (ancora oggi mediamente il salario di un tedesco della Germania Ovest è il doppio di quello di un tedesco della Germania est, dopo bene 25 anni dalla caduta del muro). Il mercato dell’Ovest era caratterizzato infatti da una bassissima disoccupazione e da un livello salariale molto alto; al contrario la Germania Est era un paese con un debito pubblico altissimo (proprio contratto con la Germania Ovest), una spesa sociale considerata spropositata e una disoccupazione praticamente totale (le poche fabbriche rimaste aperte a Est erano state svendute nel processo di riunificazione). Questo spinse il governo Schröder a riformare l’intero sistema di welfare con un disegno di superamento del precedente modello (sia ad est che ad ovest): le persone andavano forzate a entrare nel mercato del lavoro, a qualunque costo, la domanda interna andava mantenuta alta, i livelli salariali e le tutele progressivamente abbassate. E’ quello che è avvenuto grazie alla riforma Hartz.

 

Qualche dato

Nel 2015 è aumentata l’emigrazione degli italiani in cerca di lavoro all’estero. Lo rileva il rapporto ‘Italiani nel mondo 2016’ presentato a Roma dalla Fondazione Migrantes. Sono stati 107.529 nel 2015 e la metà provengono dal Sud Italia.

Rispetto al 2014 si sono iscritte all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) 6.232 persone in più (+6,2%). Il 50,8% dei cittadini italiani iscritti all’AIRE è di origine meridionale (Sud: 1.602.196 e Isole: 842.850), il 33,8% è di origine settentrionale (Nord Ovest: 817.412 e Nord Est: 806.613) e, infine, il 15,4% è originario del Centro Italia (742.092).

A livello regionale le percentuali più incisive riguardano Lombardia (+6,5%), Valle d’Aosta (+6,3%), Emilia Romagna (+6,0%) e Veneto (+5,7%).

Ad andare via sono soprattutto i giovani tra i 18 e i 34 anni (il 36,7%) e la Germania è la nazione più ricercata.

Aumenta così il numero degli italiani residenti all’estero che al primo gennaio del 2016 erano 4.811.163, +3,7% in un anno.

Gli italiani residenti all’estero sono più di 4,8 milioni (4.811.163), con una crescita del 3,7% rispetto l’anno precedente (+174.516 unità).

Dal 2006 al 2016 la mobilità italiana è aumentata del 54,9%: dieci anni fa i connazionali residenti in terra straniera erano poco più di 3 milioni.

Spagna (+155,2%) e Brasile (+151,2%) tra le mete preferite. La metà dei cittadini all’estero (53,8%) risiede in Europa (oltre 2,5 milioni), mentre il 40,6% in America. In valore assoluto, le variazioni più consistenti si registrano, rispettivamente, in Argentina (+28.982), in Brasile (+20.427), nel Regno Unito (+18.706), in Germania (+18.674), in Svizzera (+14.496), in Francia (+11.358), negli Stati Uniti (+6.683) e in Spagna (+6.520).

 

Il mito dell’eldorado

Non solo eldorado